Viviamo in una società del lavoro dove ritengo che, pur mantenendo la necessaria autorità ed il controllo dell’organizzazione, sia opportuno essere partecipativi ed avere abilità nello stimolare i dipendenti e i collaboratori. Forte di questa mia convinzione metto in pratica questo modello partecipativo nella pratica quotidiana. Lo faccio coinvolgendo e facendo partecipare al momento decisionale chi lavora con me, dando sempre più spazio alla motivazione ed alle relazioni umane. Questo comportamento gestionale è frutto principalmente della convinzione che soltanto puntando sulla capacità di chi mi circonda si può aumentare la possibilità di adattamento alle continue e rapide trasformazioni da parte di una organizzazione. Per far sì che questo si realizzi, e non resti solo un desiderio, tendo a favorire la diversificazione delle abilità, facendo emergere il saper fare di ognuno e valorizzando il loro operato e le loro specifiche competenze. Ognuno deve essere valorizzato per ciò che sa meglio fare e per ciò che può rappresentare un valore aggiunto per l’intero gruppo. Facendo così si ottiene un importante risultato, la contemporanea soddisfazione delle motivazioni personali e di quelle dell’organizzazione. Rivolgere la propria attenzione, da parte di chi è chiamato a guidare un gruppo, agli aspetti motivazionali ed alla qualità della vita di lavoro è sicuramente la ricetta vincente per raggiungere i propri obiettivi di lavoro. Sono fortemente convinto che le migliori prestazioni si ottengono soltanto puntando contestualmente sul livello di abilità e di motivazione delle persone. Persone che oltre ad essere brave devono soprattutto essere motivate e determinate al raggiungimento dei propri obiettivi. Una grande capacità quindi, per chi si trova a gestire realtà complesse, è quella di essere in grado di avere chiaro l’obiettivo da raggiungere e di chi impegnare per quello scopo. Senza questa abilità si corre il rischio di chiedere prestazioni troppo elevate a chi magari non è in grado di offrirle, con la negativa conseguenza di far sentire il lavoratore incapace di farlo bene e facendo insorgere in lui un senso di inadeguatezza e di frustrazione. Ma questo vale anche al contrario, ovvero quando una cattiva valutazione ci porta ad affidare compiti sensibilmente inferiori alle capacità del collaboratore, con la conseguenza di non farlo sentire adeguatamente motivato e stimolato e portarlo a cercare altrove stimoli e motivazioni.
Leonardo Maiolica