Negli anni dal dopoguerra, fino a raggiungere, negli anni 60 il proprio culmine, Il settore agricolo ha fatto da base e allo stesso tempo da collante nel rapporto tra i vari comparti economici e produttivi, collegando le diverse articolazioni del mondo del lavoro.

Per la connotazione generalista, ovvero, non essendo necessarie particolari competenze, il comparto diventava il collettore della domanda di lavoro proveniente da due grandi insiemi, da un lato la fascia di popolazione in esubero da altre attività produttive per la meccanizzazione e informatizzazione dei processi produttivi e, dall’altro, raccoglieva tutti gli individui che, provenendo dalle fasce di popolazione più povere e meno sviluppate avevano un bassissimo livello di professionalizzazione.
Il settore primario, seppur dal dopoguerra sia stato uno dei motori della ripresa, contestualmente funge da grande contenitore di lavoratori ad elevato rischio sociale e pertanto, particolarmente sensibili, alle variazioni in tema di mercato del lavoro e politiche di welfare.

Tematiche quali, la legislazione relativa alla disoccupazione, infortunistica, assistenza medica, che, per altri comparti sono state affrontate ed hanno portato a risultati a volte anche importanti, in questo settore andrebbero affrontate con particolare attenzione. In taluni casi, l’emanazione di nuove norme, tese a favorire il comparto agricolo, ha portato a risultati che si sono rivelati un boomerang per le aziende del settore e quindi per i tanti lavoratori che vi operano.

La normativa sul “Reddito di Cittadinanza” ha segnato un passaggio chiave, prima sul piano sociale e poi anche per il mercato del lavoro in generale e per quello agricolo in particolare. L’obiettivo del legislatore, teso al contrasto della diffusione dello stato di povertà e dell’esclusione sociale attraverso misure di formazione e di politiche attive del lavoro ha condotto a effetti che hanno dato esiti diversi e spesso anche in contrasto con le finalità perseguite. La mancanza di veri percorsi di reinserimento al lavoro si sono tradotti, di fatto, in puro assistenzialismo finendo con il danneggiare quei settori dell’economia, come il comparto agricolo, che avevano attinto manodopera proprio dalle stesse categorie destinatarie del RdC.

È fuor di dubbio che, calato in questo contesto, il Reddito di Cittadinanza ha rappresentato un deterrente che disincentiva e limita di molto la disponibilità di forza lavoro in agricoltura. Se si prende ad esempio un nucleo familiare composto dai genitori e un figlio, il RdC, può arrivare ad un ammontare di circa 800,00 €/mese, cifra talvolta di poco inferiore rispetto al salario di un impiego in agricoltura. In concreto coloro che operavano a basso salario nel comparto agricolo hanno preferito iI Reddito di Cittadinanza allo scarso salario e, cosa ancora peggiore, hanno contribuito ad ingrossare le fila dei lavoratori in nero.

La riduzione di manodopera si traduce automaticamente oltre che in una difficoltà di reperimento della forza lavoro, anche in un aumento di costi. tenuto conto che, le aziende operano in un mercato iperliberista che mette in concorrenza i prodotti italiani con quelli provenienti da mercati nei quali il costo di energia, manodopera, capitale fondiario, tutele dei lavoratori sono ridottissimi se non inesistenti, accade che un settore già fortemente penalizzato da questi fattori, la difficoltà di accesso alla manodopera determina un’ulteriore penalizzazione con gravi conseguenze produttive o addirittura di sopravvivenza delle stesse imprese.

Le enormi differenze dei costi di produzione, compresa la manodopera, portano fuori mercato le produzioni europee ed in particolare quelle italiane, le imprese di settore non riescono a fare reddito e pertanto sono costrette a chiudere.

Sopravvive ancora una sorta di aziende ad alta specificità che sono, quasi completamente sganciate dalla produzione e dal commercio su grande scala, fatta di attività indirizzate ad assicurare la sopravvivenza dei pochi addetti rimasti ed i sempre più ridotti sussidi comunitari, ma che di fatto non determina occupazione, sviluppo e vitalità sociale.
I profondi cambiamenti che il comparto agricolo ha dovuto affrontare hanno condotto ad un necessario ammodernamento, non solo delle strutture produttive, ma anche dei rapporti con i mercati esteri. Ciò ha condotto le aziende del settore a puntare a realizzare produzioni di qualità, che richiedono manodopera e servizi di un livello più elevato rispetto al precedente. Tali produzioni andrebbero maggiormente valorizzate esaltando le specificità qualitative e conseguentemente commercializzate in canali specifici atti a concretizzarne gli incrementi intrinseci di valore in termini di prezzo.

Le problematiche del settore sono tali da richiedere un intervento urgente da parte di tutti gli attori interessati al fine di fare sintesi convogliando gli sforzi verso un impegno collettivo volto a ridare vitalità e soprattutto valenza economica all’agricoltura, che oltre alla produzione diretta, ha una grande importanza anche in termini di mantenimento e salvaguardia ambientale.

Tali problematiche legate alla geopolitica internazionale non hanno mai soluzioni semplici ma ciò, non deve impedire che si affrontino, con analisi serie poste su vasta scala, tematiche che sono necessarie a ridare vita ad un settore produttivo di grande importanza sociale ed economica.
In questo contesto, le politiche del lavoro vanno attentamente considerate in modo da contemperare le esigenze assistenziali con quelle di rivitalizzazione in particolare del comparto agricolo e di tutti i settori produttivi deboli. Inoltre, il comparto agricolo andrebbe particolarmente considerato in relazione alla sua valenza non solo economica ma anche e soprattutto occupazionale, ambientale e strategica, in relazione alla stabilità e a un buon livello di autosufficienza produttiva.

Fabio Schirosi

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